Interramento di rifiuti speciali: il caso di Reggio Calabria

Recentemente sono state emesse le sentenze relative all’interramento di rifiuti speciali da parte di una nota azienda edile a Reggio Calabria. Con grande stupore del PM, il GIP ha ritenuto alcune accuse infondate, e fra queste vi è il reato di disastro ambientale acclamato a gran voce dall’accusa.

 

I fatti di Reggio Calabria e gli effettivi danni all’ambiente

La vicenda in esame ha coinvolto diversi tecnici del Comune, l’azienda che aveva in carico i lavori per la creazione delle aste sul torrente S. Agata e diversi dirigenti. L’accusa principale è quella di aver interrato rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi (tra cui anche discrete quantità di amianto), omettendo di effettuare le necessarie procedure di smaltimento.

Durante la conduzione dei lavori preliminari, infatti, sarebbero stati rinvenuti i suddetti rifiuti, già presenti nell’area del cantiere. Tuttavia, al fine di non rallentare le operazioni di costruzione, si sarebbe scelto di non comunicare la presenza di questi ultimi, ma bensì di occultarne la presenza.

La Procura sottolinea che tali scelte sarebbero state compiute dai dirigenti, anche per poter beneficiare di diversi finanziamenti, senza spendere un centesimo per adempiere agli scopi per cui erano stati emessi. Inoltre, sarebbero state fatte pressioni sui dipendenti affinché i lavori venissero completati nel più breve tempo possibile per godere di ulteriori benefit.

Tra le accuse più gravi mosse dal PM di Reggio Calabria vi è anche quella di disastro ambientale, poiché sostiene che il sottosuolo sia stato contaminato dalle pericolose sostanze interrate illegalmente. L’opinione del GIP però in sede di sentenza è risultata piuttosto discordante.

 

La decisione del GIP sull’interramento dei rifiuti speciali

Dopo aver esaminato accuratamente le prove prodotte dall’accusa, il GIP ha espresso il suo giudizio. Pur trovandosi in accordo con le accuse sul reato di occultamento illegale di rifiuti speciali, egli non ha accolto la richiesta del PM riguardante il disastro ambientale.

La motivazione è da imputarsi al fatto che, dopo attente analisi del suolo e del sottosuolo in cui erano stati interrati i rifiuti speciali, non siano emerse contaminazioni di sorta. Al fine di condannare un imputato per disastro ambientale, infatti, è necessario che le sue azioni abbiano compromesso vaste porzioni dell’ambiente, arrecando danno su larga scala a flora, fauna o persone.

Insomma, gli imputati se la caveranno con una pesante sanzione pecuniaria ma potranno conservare l’appalto per i lavori e continuare la costruzione delle aste sul torrente S. Agata.





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